12. Estratto della sentenza della II Corte di diritto pubblico nella causa A. e consorti contro Consiglio di Stato del Cantone Ticino (ricorso in materia di diritto pubblico) | |
2C_886/2021 del 12 dicembre 2022 | |
Regeste | |
Art. 8 und 10 BV; Einführung einer COVID-Testpflicht für nicht geimpfte Gesundheits- und Sozialarbeiter.
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Eine differenzierte Behandlung je nach Impf- oder Genesungsstatus des Personals führt zu einer Ungleichbehandlung. Die fragliche Massnahme beruht jedoch auf einer ausreichenden Rechtsgrundlage (E. 4.4.3.1 und 4.4.3.2), ist durch ein unbestrittenes öffentliches Interesse gerechtfertigt und wurde auf der Grundlage dessen angeordnet, was in Anbetracht der damals bekannten Wirksamkeit des Impfstoffs als "akzeptables Risiko" angesehen wurde (E. 4.4.4.1, 4.4.4.3 und 4.4.4.4). Da die Massnahme ermöglichte, einen differenzierten Ansatz anzuwenden (und damit generalisierte Pflichten zu vermeiden), Solidarität mit den am stärksten gefährdeten Personen zu üben, und darüber hinaus nicht übermässig invasiv ist (Speicheltests) und keine Kosten verursacht (kostenlose Tests), erweist sie sich als angemessen und notwendig und insofern als mit dem Grundsatz der Verhältnismässigkeit vereinbar (E. 4.4.5.1-4.4.5.4).
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Sachverhalt | |
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"1. Le strutture sanitarie e sociosanitarie per anziani e invalidi, i centri diurni, i servizi nel campo delle tossicomanie e i servizi di assistenza e di cura a domicilio promuovono la medicina basata sull'evidenza, anche in campo vaccinale, incoraggiando la vaccinazione anti-COVID-19 dei propri collaboratori.
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2. Il personale attivo nelle strutture sanitarie e sociosanitarie per anziani
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e invalidi, nonché nei centri diurni, nei servizi nel campo delle tossicomanie e nei servizi di assistenza e di cura a domicilio, indipendentemente
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dallo stato vaccinale o di immunità acquisita da infezione naturale, si
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attiene rigorosamente alle buone pratiche di igiene, disinfezione delle mani, uso corretto dei dispositivi di protezione e di distanziamento interp
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ersonale, laddove possibile.
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Gli stessi principi valgono per i visitatori delle strutture.
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3. Il personale a contatto stretto con pazienti, residenti o utenti delle
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strutture sanitarie (ospedali e cliniche) e socio-sanitarie (case per anziani e istituti per invalidi), dei centri diurni per anziani (terapeutici e socio-assistenziali) e per invalidi, delle strutture residenziali per tossicodipendenti e dei servizi di assistenza e cura a domicilio, per esercitare l'attività è tenuto ad esibire un certificato COVID che riporti la data di validità o a partecipare a un programma di test mirati ripetuti organizzati in azienda in modo da disporre di un test con esito negativo risalente al massimo a 96 ore.
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È considerato a contatto stretto il personale, compresi i volontari, la cui attività non permette di rispettare la distanza raccomandata dall'UFSP di 1.5m nei confronti dei pazienti, dei residenti o degli utenti.
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4. Le strutture sanitarie e socio-sanitarie e i servizi indicati al punto 3 sono tenuti ad organizzare test mirati e ripetuti per i propri dipendenti privi di certificato COVID-19.
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I test devono essere effettuati in conformità all'Ordinanza 3 COVID-19.
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L'azienda ha la facoltà di prevedere i test mirati e ripetuti ad intervalli più frequenti rispetto a quanto stabilito dal punto 3.
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L'azienda ha la facoltà di prevedere controlli, anche a campione, a garanzia che i test vengano effettuati secondo le regole e sui dipendenti effettivamente privi di certificato.
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5. Le persone di età superiore ai 16 anni che entrano nelle strutture sanitarie, socio-sanitarie o per tossicodipendenti e nei centri diurni indicati al punto 3 per lavoro, visite o per accompagnare pazienti e ospiti di dette ![]() | |
Sono esonerate dal presentare il certificato COVID-19 le persone che afferiscono a tali strutture in qualità di pazienti, residenti o utenti, per le quali restano in vigore le disposizioni previste dalle specifiche direttive dell'Ufficio del medico cantonale.
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6. Le strutture, i servizi e gli istituti menzionati sono responsabili del
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controllo dei certificati.
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La Direzione amministrativa, dopo avere sentito la Direzione sanitaria o
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il medico responsabile, può eccezionalmente concedere deroghe in comprovate situazioni straordinarie o di urgenza che andranno documentate. Deroghe sono possibili anche per Servizi di pronto intervento in situazione di emergenza imprevista. Appena possibile dovrà comunque essere presentato un certificato COVID-19 o il risultato negativo di un test.
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7. La verifica della messa in atto della presente risoluzione governativa è affidata al Medico cantonale, che è autorizzato ad accedere ai risultati di test mirati e ripetuti effettuati al personale e in caso di dubbi a richiedere di esibire i certificati COVID-19 o i documenti di avvenuta vaccinazione o guarigione.
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8. Le violazioni delle prescrizioni stabilite nella presente decisione sono perseguite e sanzionate secondo le disposizioni della LEp.
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9. La presente risoluzione entra in vigore il 15 settembre 2021 e resta in vigore fino a revoca. Per l'implementazione dei punti 3 e 4 è dato tempo fino al massimo il 1° ottobre 2021.
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10. La presente risoluzione è pubblicata sul Foglio ufficiale e in forma elettronica nel sito del Cantone.
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11. Contro la presente risoluzione è data facoltà di ricorso al Tribunale cantonale amministrativo nel termine di 30 giorni dall'intimazione. Il ricorso non ha effetto sospensivo (art. 71 LPAmm)."
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B. L'allegato ricorsuale presentato l'11 ottobre 2021 da A. e da altre 31 persone contro la suddetta risoluzione al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino è stato dalla Corte cantonale dichiarato inammissibile il 29 ottobre 2021 e trasmesso al Tribunale federale per competenza.
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C. L'impugnativa è stata quindi registrata dal Tribunale federale quale ricorso in materia di diritto pubblico.
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La risoluzione contestata è stata revocata con effetto a decorrere dal 1° aprile 2022 (cfr. risoluzione governativa n. 1518 del 30 marzo 2022 [FU 31 marzo 2022]). ![]() | |
(riassunto)
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Erwägung 2 | |
2.1 Con questo rimedio è possibile far valere tra l'altro la violazione del diritto federale (art. 95 lett. a LTF), nozione che comprende i diritti costituzionali dei cittadini (DTF 141 I 78 consid. 4.1). Il Tribunale federale applica d'ufficio il diritto federale (art. 106 cpv. 1 LTF). Nondimeno, valendo le esigenze di motivazione previste per i ricorsi al Tribunale federale anche per le impugnative contro gli atti normativi cantonali (DTF 141 I 78 consid. 4.1; sentenze 2C_664/2016 del 25 marzo 2020 consid. 1.4, non pubblicato in DTF 147 I 16; 2C_116/2014 del 16 agosto 2016 consid. 3.1) occorre, conformemente a quanto previsto dall'art. 42 cpv. 1 e 2 LTF, spiegare perché l'atto impugnato viola il diritto. Questa Corte non è pertanto tenuta a vagliare tutte le questioni giuridiche che si pongono, se queste non sono presentate nella sede federale (DTF 138 I 274 consid. 1.6). Per di più, quando le parti ricorrenti invocano, come in concreto, la violazione di diritti fondamentali, il Tribunale federale esamina le censure soltanto se sono state esplicitamente sollevate e motivate in modo chiaro e preciso (art. 106 cpv. 2 LTF; DTF 142 I 99 consid. 1.7.2; DTF 141 I 78 consid. 4.1; sentenza 2C_664/2016 già citata consid. 1.4, non pubblicato in DTF 147 I 16). Nel presente caso, occorre invero constatare che nella maggior parte delle censure tali esigenze qualificate di motivazione sono a malapena soddisfatte poiché i ricorrenti espongono le loro argomentazioni in maniera generica, poco strutturata, appellatoria e addirittura senza indicare le disposizioni costituzionali pertinenti. In loro favore è però possibile tenere in considerazione il fatto che l'impugnativa, a causa dell'errata qualificazione giuridica dell'atto da parte del Governo cantonale con conseguente errata indicazione delle vie di ricorso, era stata inizialmente indirizzata al Tribunale cantonale amministrativo, dinanzi al quale le esigenze di motivazione sono meno elevate. In queste circostanze, ritenuto anche che vi è un interesse elevato per la società a ricevere risposte al quesito sollevato dal presente ricorso in un momento storico come questo, è quindi possibile prescindere dal porre esigenze troppo severe rispetto alla motivazione del ricorso, almeno laddove risulti abbastanza chiaramente che i ricorrenti lamentano una violazione del principio di uguaglianza (art. 8 Cost.), ![]() ![]() | |
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Erwägung 3 | |
3.2 Questa censura deve essere integralmente respinta. Innanzitutto, come già sottolineato (consid. 2.3), nell'ambito di un controllo astratto non vi sono fatti della precedente istanza su cui il Tribunale federale ![]() ![]() | |
Erwägung 4 | |
4.1 La principale censura sollevata dai ricorrenti riguarda la violazione del principio di uguaglianza (art. 8 Cost.), in relazione unicamente all'obbligo di effettuare i test per il personale non vaccinato; come già accennato infatti (cfr. consid. 1.4 non pubblicato), nessuna delle censure è rivolta contro l'obbligo di presentare un certificato COVID per i visitatori. Essi sostengono che il provvedimento impugnato provocherebbe una disparità di trattamento nei confronti delle persone non vaccinate che, per lavorare, contrariamente a quelle vaccinate, devono obbligatoriamente sottoporsi a controlli sanitari diagnostici ed invasivi per dimostrare di essere sane e per non essere considerate "untrici". A loro avviso nel settore sanitario, dove il personale interagisce con soggetti fragili (i quali - rilevano i ricorrenti - sono peraltro già stati in gran parte vaccinati, siccome appartengono alle categorie a rischio), il controllo regolare del personale attraverso un tampone obbligatorio dovrebbe semmai avvenire su tutto il personale sanitario, e non solo su quello non vaccinato, dato che anche quello vaccinato può contrarre il virus, essere portatore asintomatico e contagiare. I ricorrenti aggiungono che mentre il personale vaccinato mantiene un diritto al consenso su un trattamento medico (i test PCR), quello non vaccinato è costretto ad un trattamento coatto, se vuole lavorare. La disparità di trattamento invocata ![]() ![]() | |
4.3 Nella valutazione della giustificazione di una disparità di trattamento, decisiva è da un lato la legittimità dello scopo perseguito dalla regolamentazione in esame e, d'altro lato, la proporzionalità della misura (DTF 141 I 78 consid. 9.5; DTF 136 I 1 consid. 4.3.2; DTF 136 II 120 consid. 3.3.2 e rispettivi rinvii giurisprudenziali e dottrinali; SCHWEIZER/BIGLER-EGGENBERGER/KÄGI-DIENER, in Die Bundesverfassung già citato, St. Galler Kommentar, n. 21 ad art. 8 Cost.; MARTENET, op. cit., n. 41 segg. ad art. 8 Cost.). In questo contesto è importante rilevare che nella valutazione normativa delle circostanze ![]() ![]() | |
4.4.2 Occorre quindi chiedersi se tale distinzione fosse giustificata da un motivo fondato o ragionevole o se, d'altro canto, fosse necessaria per raggiungere lo scopo della regolamentazione: una determinata regolamentazione che contempla una disparità di trattamento ![]() ![]() | |
4.4.3.1 Anche se i ricorrenti censurano solo genericamente l'assenza di una base legale (rilevando che la Svizzera si trovava in quel momento nella situazione particolare ai sensi dell'art. 6 LEp e non in una situazione straordinaria ex art. 7 LEp), senza confrontarsi con la questione della densità normativa della base legale specifica sulla quale sono fondate le misure contestate, è opportuno rammentare ![]() ![]() | |
Secondo l'art. 40b LSan il Consiglio di Stato è competente per l'applicazione della LEp e delle relative ordinanze; esso emana le necessarie disposizioni. L'art. 26 LSan prevede che il medico cantonale vigila sulla salute pubblica, sull'esercizio delle arti sanitarie e sull'esecuzione dell'interruzione della gravidanza e che egli ha segnatamente ![]() ![]() | |
4.4.3.2 Ora, il provvedimento in esame introduce una disparità di trattamento che, nella misura in cui impone ai soggetti non vaccinati di sottoporsi regolarmente a test mirati, tocca in maniera importante la loro libertà personale e la garanzia della protezione della loro sfera privata, ma si fonda su una sufficiente base legale poiché è coperta dalle disposizioni federali e cantonali summenzionate, che contemplano espressamente misure più incisive.
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4.4.4.1 Va anzitutto sottolineato che i ricorrenti non mettono in discussione (o comunque, come già rilevato, non in maniera sufficientemente chiara e concisa [artt. 42 e 106 cpv. 2 LTF]) l'esistenza generale di un interesse pubblico alla protezione della salute pubblica e, in particolare, alla protezione della salute delle persone più vulnerabili ospiti delle strutture toccate dal provvedimento ed alla garanzia della solidità del sistema ospedaliero. Essi contestano piuttosto che la disparità di trattamento provocata da un obbligo di test limitato al solo personale non vaccinato risponda, in quanto tale, ad un interesse pubblico. Ancorché con argomentazioni spesso prolisse e non sempre chiare, gli insorgenti sembrano altresì mettere in dubbio l'esistenza di un interesse pubblico rispetto all'obiettivo indiretto perseguito dal provvedimento che, come si vedrà, era quello di aumentare la copertura vaccinale tra il personale sanitario.
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4.4.4.2 Riguardo alla giustificazione delle misure in situazioni di crisi sanitaria che comportano un elevato tasso di incertezza, il Tribunale federale ha già avuto modo di rilevare che l'autorità competente dispone di un ampio margine di apprezzamento poiché è costretta a reagire rapidamente agli eventi, sulla base delle conoscenze scientifiche del momento che spesso sono parziali e limitate, esponendosi per di più al rischio di essere criticata per non aver fatto abbastanza o per aver agito in maniera troppo incisiva e precipitosa (DTF 132 II 305 consid. 4.4). L'esame retrospettivo è naturalmente delicato poiché implica la necessità di fare astrazione delle ![]() ![]() | |
4.4.4.3 In concreto, lo scopo della misura contestata era quello di contrastare la diffusione della malattia da COVID-19, in particolare a tutela delle persone particolarmente a rischio. A tal fine, tra le priorità identificate dalle autorità anche per alleggerire il carico sui reparti ospedalieri già molto provati dall'anno precedente, sia a livello europeo che nazionale, vi era la prevenzione dalla formazione di nuovi focolai all'interno di strutture sanitarie e sociosanitarie per anziani e invalidi, nei centri diurni, nei servizi nel campo delle tossicomanie nonché nei servizi di assistenza e cura a domicilio, luoghi questi dove il personale entra in stretto contatto con persone vulnerabili che se contraggono il virus vanno incontro ad un forte rischio di decorso grave e decesso. In tali strutture, in effetti, era stato constatato che le forme di alloggio collettivo, le attività sociali in comune e lo stretto contatto fisico con i professionisti della salute e con il personale assistente aumentavano il rischio di trasmissione e che il personale non immunizzato poteva diventare veicolo di trasmissione della malattia malgrado l'applicazione rigorosa di misure di igiene (si veda in tal senso il preambolo del provvedimento impugnato e UFSP, COVID-19 Raccomandazione: informazioni sulla prevenzione e sul controllo dei focolai negli istituti medico-sociali; versione del 1.4.2022, aggiornata il 27.06.2022, pag. 2; di seguito Raccomandazione-UFSP). In questo contesto, come già rilevato in precedenza (cfr. supra consid. 3.2) e contrariamente a quanto asserito dai ricorrenti, non corrisponde al vero che le autorità sarebbero partite dall'assunto secondo cui il vaccino rappresentava la panacea di tutti i mali impedendo alle persone vaccinate di contrarre e di trasmettere il virus in maniera assoluta. Nella procedura, il Consiglio di Stato ha in effetti rilevato di aver preso in considerazione il fatto che, conformemente alle evidenze scientifiche del momento, anche le persone vaccinate potessero sia contagiarsi che trasmettere il virus, ma di aver fondato la propria risoluzione sulla constatazione che le conoscenze acquisite sull'efficacia del vaccino contro il COVID-19 permettessero di individuare che, nelle persone vaccinate, il rischio di infettarsi e quindi di trasmettere a propria volta la malattia fosse ridotto.
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Vi era quindi un indiscusso interesse pubblico a trattare in maniera differente le persone non immunizzate, quindi quelle non in ![]() ![]() | |
Si tratta in definitiva di uno scopo che risponde all'esigenza imprescindibile di garantire la continuità del servizio pubblico sanitario e sociosanitario cantonale alleggerendo il carico delle strutture sanitarie ticinesi e costituisce quindi un chiaro interesse di salute pubblica, pertinente e preponderante.
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4.4.4.4 Invano i ricorrenti contestano la fondatezza delle evidenze scientifiche che mostravano una riduzione del numero di malati, di ricoveri in ospedale e di decessi causati dal COVID-19 (sul tema vedasi, ad esempio, lo studio dell'Ufficio regionale dell'OMS per l'Europa "Estimated number of deaths directly averted in people 60 years and older as a result of COVID-19 vaccination in the WHO European Region, December 2020 to November 2021", citato ed allegato dal Consiglio di Stato alle proprie osservazioni del 9 marzo 2022). Certo, dalla copiosa documentazione allegata al ricorso emerge in effetti che il vaccino non poteva essere considerato "la panacea di tutti i mali", che esso esplicava alcuni effetti indesiderati, che ![]() ![]() | |
Tuttavia tutti questi sono elementi che anche l'autorità cantonale ha tenuto in considerazione e che, a mente di questa Corte, non sono sufficienti per mettere in discussione il fatto che, a quel momento, tutto ciò malgrado, l'aumento del tasso vaccinale nella popolazione aveva generato un calo delle ospedalizzazioni (tra cui continuavano a risultare in gran parte pazienti non vaccinati. Vedasi, per molti, UFSP, Informazioni sulla vaccinazione anti-COVID-19 del 11.9.2021, allegato al ricorso, pag. 2), con conseguente alleggerimento delle strutture sanitarie, ed una diminuzione del numero di focolai nelle stesse, in particolare nelle case per anziani.
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4.4.5.1 La disparità di trattamento instaurata nei confronti del personale non in possesso di un certificato COVID è proporzionale se l'obbligo di svolgere test ripetuti è: a) idoneo a raggiungere gli scopi previsti, b) necessario nel senso che, secondo le conoscenze scientifiche del momento in cui è stato adottato il provvedimento contestato (DTF 147 I 393 consid. 5.3, DTF 147 I 450 consid. 3.2.4 e rinvii), non poteva essere raggiunto attraverso una misura meno incisiva e, infine, c) è proporzionale in senso stretto, nel senso cioè che vi è un rapporto ragionevole tra gli effetti della misura sulla persona interessata e la finalità perseguita (DTF 147 I 393 consid. 5.3; sentenza 2C_369/2021 del 22 settembre 2021 consid. 6.1 e rispettivi rinvii). Nell'esame della misura occorre tenere presente che gli interventi devono restare ragionevoli e devono tendere ad un rischio accettabile, non potendo invece prefissarsi di annullare ogni rischio (DTF 147 I 393 consid. 5.3.1). Peraltro, come già sottolineato, il Tribunale federale si impone un certo riserbo quando si tratta di pronunciarsi in merito a questioni di puro apprezzamento in un contesto come questo dove la frontiera tra rischio ammissibile e rischio inaccettabile non è definita dal legislatore ma deve essere fissata dal potere esecutivo facendo riferimento alle conoscenze scientifiche del momento (DTF 147 I 393 consid. 5.3.2).
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4.4.5.2 In primo luogo occorre valutare l'idoneità del provvedimento. Innanzitutto è bene precisare che non spetta al Tribunale federale ![]() ![]() | |
Rammentato che il metro degli interventi deve essere il "rischio accettabile" e non un "rischio zero" e che in questo contesto vi è un inevitabile margine di incertezza dettato dal fatto che determinate verità scientifiche sono acquisibili solo nel tempo, è possibile ritenere che, secondo le evidenze scientifiche disponibili al momento del provvedimento, la trasmissione del SARS-CoV-2 da parte di persone completamente vaccinate o guarite era poco o meno probabile e che maggiore era il tasso di copertura vaccinale del personale sanitario, minore era il rischio che il virus potesse varcare le porte di simili strutture. Per questo motivo, testare le persone vaccinate o guarite asintomatiche nei primi 12 mesi dopo la vaccinazione o nei primi sei mesi dopo la guarigione non era a quel momento raccomandato (si veda ad esempio "Informazione dell'Ufficio federale della sanità pubblica UFSP del 7 luglio e del 28 luglio 2021"). D'altra parte, si può concludere che l'obbligo di test ripetuti sul personale non immunizzato, che intensificava i controlli tra le persone più inclini ad ammalarsi ed a contagiare, fosse idoneo a limitare il numero di operatori sanitari asintomatici che entravano a contatto con pazienti fragili potendoli contagiare. In sostanza, la disparità di trattamento introdotta si fondava sulla differente capacità del soggetto di trasmettere il virus e di infettarsi che, secondo le conoscenze a quel momento, era inferiore nei soggetti vaccinati. Nella misura in cui toccava coloro che non erano ancora vaccinati, la misura era sicuramente anche atta a migliorare la copertura vaccinale del personale e quindi ad aumentare il grado di immunizzazione all'interno degli istituti interessati ed a favore dei pazienti e degli utenti, scopo, come già visto, anch'esso legittimo.
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La documentazione prodotta dai ricorrenti, invece, riguarda piuttosto il dibattito scientifico attorno all'(in)efficacia del vaccino ed ai suoi ![]() ![]() | |
4.4.5.3 Secondariamente, occorre valutare se il provvedimento fosse necessario, chiedendosi in altri termini se non fossero attuabili altre misure altrettanto idonee ed efficaci ma meno restrittive. Va rilevato che il corollario della necessità può talvolta indurre ad operare dei trattamenti differenziati allentando determinate restrizioni per una sola categoria di persone, ovvero, nel concreto caso, per il personale sanitario in possesso di un certificato COVID-19 (persone vaccinate o guarite). In questo contesto è necessario tenere in considerazione il tipo di prestazioni o di beni il cui accesso dipende dallo statuto vaccinale, come pure l'interesse ad evitare l'insorgere di conflitti sociali tra le persone in virtù del loro statuto vaccinale (vedasi Ufficio federale della giustizia, Cadre légal pour des distinctions en fonction du statut vaccinal, 18 febbraio 2021, www.bj.admin.ch/bj/fr/ home/publiservice/publikationen/berichte-gutachten/2021-02-18.html, pag. 19). In concreto, siccome lo statuto vaccinale condizionava la possibilità di accedere al luogo di lavoro e di fornire la propria prestazione al datore di lavoro, è chiaro che per la categoria interessata dal provvedimento si trattava di una prestazione di carattere essenziale, ciò che impone pertanto di adottare un metro d'esame severo. Nel bilanciamento degli interessi in gioco occorre d'altra parte considerare che la scelta di svolgere una professione in ambito sanitario e socio-sanitario dovrebbe implicare una coscienza ed una responsabilità accresciute verso una categoria di persone fragili e che, in particolare nel contesto di una pandemia, la decisione di vaccinarsi costituisce spesso anche un atto di solidarietà sociale (solidarietà sociale che peraltro, oltre a trovare il suo fondamento nel preambolo della Costituzione federale stessa è evocata all'art. 6 della medesima, vedasi in proposito DTF 141 I 153 consid. 4.2), inteso cioè ad aumentare la protezione delle persone più vulnerabili ed esposte quindi ad un rischio nettamente più elevato di decorso ![]() ![]() | |
Da questo punto di vista, il provvedimento contestato rispetta così anche il corollario della necessità poiché, per raggiungere lo scopo prefissatosi, ha evitato di introdurre obblighi generalizzati ed ha invece adottato un trattamento differenziato inteso a tenere in considerazione l'atto di solidarietà già compiuto da chi si era già vaccinato, offrendo nel contempo un'alternativa al personale che non era in possesso di un certificato COVID. Infine, va rilevato che comunque il provvedimento in questione non si applicava in maniera generica a tutto il personale sanitario ma solo a quello "a contatto stretto con pazienti, residenti o utenti" delle strutture (ove si osserva che se vi è la necessità di salvaguardare terzi, ad esempio in caso di epidemia, lo Stato può imporre un obbligo vaccinale) interessate (si veda il punto 3. del provvedimento impugnato), non costituiva un vero e proprio obbligo vaccinale e non impediva alle lavoratrici ed ai lavoratori che non erano in possesso di un certificato COVID di accedere al luogo di lavoro, ma creava per questa categoria un'esigenza supplementare, di certo non insormontabile e tutto sommato non troppo invasiva (cfr. infra consid. 4.4.5.5), ovvero quella di sottoporsi ad un programma di test ripetuti organizzati gratuitamente dalla struttura stessa. ![]() | |
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4.4.5.4 L'obbligo di sottoporsi a test ripetuti era infine anche proporzionale in senso stretto, nella misura in cui offriva al personale sanitario che, per motivi personali, non voleva sottoporsi al vaccino un'alternativa che non comportava oneri né in termini di costi (era gratuita), né in termini di tempo o di spostamenti supplementari (veniva svolta direttamente sul luogo di lavoro). L'ingerenza nella sfera personale rappresentata da questi test era ridotta al minimo: il test era svolto ogni cinque giorni e, nella maggior parte dei casi non comportava nemmeno il minimo disagio fisico temporaneo che potrebbe provocare un test nasofaringeo, poiché di principio venivano svolti i test salivari. Va poi rilevato che il punto 6 del provvedimento impugnato prevedeva che la direzione amministrativa delle strutture poteva, a determinate condizioni (restrittive), concedere deroghe all'obbligo dei test in comprovate situazioni straordinarie o d'urgenza, ciò che rafforza quindi il carattere proporzionale del sacrificio imposto al singolo interessato.
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4.4.6 Alla luce di queste considerazioni, il ricorso è infondato anche su questo punto. L'esame approfondito appena svolto in merito al ![]() ![]() ![]() |